Mattia Bianucci - Personal Trainer Running - Alessandria,Valenza,Casale, Novi Ligure: Riflessioni

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sabato 15 luglio 2017

Doping tra i Master ed eterno amore

Buongiorno amici!

Ospito sul mio blog, l'interessante articolo di Saverio Fattori, apparso sul N.380 - giugno 2016 della celebre rivista Correre. Buona lettura e... meditate gente, meditate...


"VOGLIAMO tutto e lo vogliamo subito. Uno di quegli slogan anni Settanta che ci sussurra non più di remotissime lotte di classe, ma ci dovrebbe urlare ancora l'arroganza propria dell'età giovanile. Al di là del contesto storico, la forza e la voglia di stravolgere le regole dovrebbero essere roba per adolescenti, che poi non esistono più, sostituiti pericolosamente da giovani adulti. Ma tutto è cambiato, la debolezza, l'amara oggettività hanno preso il sopravvento.
A Vogliamo tutto, uscito nel 1969, uno dei libri più importanti dello scrittore Nanni Balestrini, risponde a decenni di distanza Angelo Petrella, nato nel 1978, che lo scorso anno se ne è uscito con un altro romanzo in forma di poema lungo, il cui titolo, Vogliamo niente e lo vogliamo adesso!, sintetizza con ironia uno stato di rassegnazione cronicizzata.

Se i giovani accusano i colpi della vita, chi non si rassegna affatto sono le generazioni vintage, gli adulti prolungati, che possono vedere uno come il professor Giorgio Maria Bortolozzi, settantanovenne ex primario di Ginecologia a Treviso, come luce di un nuovo e infinito giorno: Bortolozzi (detentore dei tre titoli mondiali Master tra lungo e triplo), nei mesi scorsi è stato beccato positivo al Dhea, un ormone steroideo che il nostro corpo ha l'impudenza di smettere di produrre in età ancora acerba; siamo solo alla soglia degli ottanta, diamine... Il professore, intervistatissimo, ha dichiarato che le medaglie nelle competizioni Master sono solo uno dei tanti effetti benefici della cura di ormoni, non certo il principale, e che tutti gli anziani di sesso maschile dovrebbero usare la stessa integrazione per migliorare la qualità della vita.

Corpo stupido e inadeguato, tu sia maledetto. Bastardo. Non voglio affatto tenere nipotini insopportabili e maleducati, coltivare zucchine in orti spelacchiati ai margini della periferia cittadina, niente pesca alla carpa, quel disgustoso accasciarsi su uno sgabello da campeggio sulle rive di un canale marcio, voglio saltare in lungo, saltare in triplo, avere medaglie e magliettine con la scritta azzurra Italia, essere premiato ai Galà i come campioni veri, mica star ingobbito dalla sciatica, voglio stare vigile, alzare lo sguardo non sui lavori in corso come gli Umarells di Bologna, lo alzo si, ma alle prime minigonne di marzo, conscio che in potenza non solo di ricordi posso vivere, e le donne capiranno dalla luce dei miei occhi che sono ancora piacevolmente pericoloso.

Ora, a meta di questo pezzo ve lo posso svelare, il mio non vuole essere un articolo indignato e accusatorio sull'ennesimo amatore beccato positivo al doping, anzi, apre un tema enorme che mi devasta, il come agire all'invecchiamento. Il Bortolozzi, mettendo in atto discutibili mezzi di difesa, ci invita a una riflessione. Questo caso è uno dei pochi avvenimenti degni di analisi in un mare di noia che ammorba il mondo del podismo o dell'atletica Master, a galleggiare nel mare morto rimangono foto di finisher che mordicchiano medaglie di mezze maratone, maratone, doppie maratone e via così.
Io stesso non so come reagirò al decadimento e forse il corsivo sopra non l'ho scritto solo a nome di Bortolozzi, ma l'ho già dentro di me, mischio ironia sprezzante e ferocia, ma invecchiamento e morte mi atterriscono, poi quell'interludio soprattutto, la malattia, che allontaniamo il più possibile da noi, a volte con le gare e le medaglie, anche se queste ultime sono sempre di metalli poco nobili e i salami delle sportine dei premi di categoria sempre industriali.

Le testimonianze sulle lotte contro le malattie, le frasi come "Lotta contro il cancro come lottavi nelle gare quando eri un forte atleta" a volte mi lasciano interdetto, non riesco a commentarle, a condividerle, a farle mie, non perché non sia solidale o sia indifferente, ma forse proprio perché riesco a comprenderne in pieno la sostanza. Nel film Mia madre di Nanni Moretti, una spaesata Margherita Buy guarda una scritta enorme sul muro dell'ospedale dove è ricoverata la madre, sono parole di incoraggiamento a un degente, la Buy chiede spiegazioni a un'infermiera che le dice che è normale, ma per il personaggio della protagonista no, per lei il senso della malattia e della morte di una persona cara deve rimanere una faccenda intima, non da murales.
E per quanto riguarda la performance sessuale del maschio, caro professor Bortolozzi, che dire... quotidiani come Libero (libero da chi, da cosa, non l'ho mai capito) non aspettano altro che storie come la sua e infatti il giornale ha titolato l'intervista: "Mi sono dopato per il sesso non per vincere tra i nonni"; e mi creda, le confesso che un po' tutti usiamo questo aspetto per misurare lo stato della nostra efficienza psicofisica e niente come un fallimento in questa gara ci consegna nelle mani della più grigia depressione. Ma c'è la chimica a correggere i difetti della nostra natura infame, vero professore?

Per il resto non so, vogliamo tutto e subito, nel senso che lo abbiamo sempre voluto e l'ambizione è il carburante di una vita, perché non ci sono fasi diverse nell'esistenza, uno è ciò che è, punto; vogliamo il sesso, le cerimonie di premiazione, gli articoli sui giornali locali, le onorificenze. Per quel segmento di eternità che ci appartiene, che per ognuno di noi sono due date, qualche numero separato da trattini. 
Che si ostinano a cercare questi imbecilli nelle urine? Quale verita?




NORDIC RUNNING ITALY - Il primo sito ufficiale italiano sul Nordic Running a questo link: http://nordicrunningitaly.blogspot.it




sabato 20 maggio 2017

Quando la corsa non ha valore, ma ha un prezzo

Ospito molto volentieri sul mio blog il pensiero, che condivido ampiamente, del collega Gianni Roveda (Runners Tordino) da www.corrilabruzzo.it

ZIBALDONE - Pensieri In Libertà. Buona lettura e meditate gente, meditate... :)



Yuki Kawauchi
Ho di recente letto la storia di Yuki Kawauchi, maratoneta giapponese, primatista nazionale e fra i primi 10 al mondo con il PB di 2h09’54”. Una storia fatta di dedizione e sacrificio, di allenamenti “rubati” alla famiglia e al suo lavoro di impiegato pubblico (in Giappone, dove l’impiegato pubblico lavora sul serio). Eppure lui stesso dichiara: "Preferisco correre liberamente. Diversamente dai professionisti, non corro per vincere premi in denaro o per trovare degli sponsor. Corro per soddisfare il mio interesse personale e per sfidare me stesso. Non voglio perdere la mia libertà." Ecco, inviterei Kawauchi a conoscere la realtà del podismo amatoriale nostrano, più che altro per stimolarlo a riflettere se lui sia un povero illuso o noi dei poveretti e basta. Perché invece non è un segreto che il podismo abruzzese-marchigiano sia fatto di autentici fenomeni, così tanto fenomeni da potere auspicare sempre ad un premio in denaro o ad un riconoscimento economico. Amatori esaltati, ex professionisti o presunti tali, personaggi che si sono costruiti a livello locale una specie di reputazione di “campioni” che corrono le gare amatoriali solo se ci sono premi in denaro o che si fanno “ingaggiare” dalle società, le quali sono disposte, a dare un valore economico alla loro partecipazione. Banalmente: “Se ti segni (traduzione: “iscrivi”) con noi ti paghiamo le gare”.

Mi è capitato di ricevere telefonate prima della gara che abbiamo organizzato:

“Buongiorno, sono (xxxxxxxx). Sono previsti premi in denaro?”

“No, mi spiace”

“Ah, allora arrivederci”

E parliamo di personaggi che alle gare poi vengono additati come campioni o esempi di agonismo e sportività quasi con timore reverenziale, sottovoce, mentre quelli più audaci azzardano un saluto o una foto rubata.


Chiarisco subito come la penso:

Caro campione: se fossi stato un fenomeno ti avrei visto a Rio l’anno scorso. O per lo meno staresti correndo qualche gara internazionale. Se invece corri le gare del “Criterium Piceni e Pretuzi” o “Corrilabruzzo” sei uno come un altro, uno che si perde nel marasma sorridente, festante e colorato delle gare domenicali dove tu, professionista improvvisato, sembri quasi fuori luogo. Ma io non me la prendo con te. Me la prendo con chi ti asseconda, con l’organizzatore che pur di avere il “nome” ridondante alla gara solo per la soddisfazione di farlo scandire dallo speaker locale è disposto a riconoscerti il “premio in denaro”. Ingaggi ovviamente “milionari” (si fa per dire), nell’ordine di poche decine di euro! Ecco, io di fronte a questo atteggiamento, da una parte mi indigno, perché vedo lo sport amatoriale in una interpretazione lontana anni luce da quello che dovrebbe essere, e dall’altra quasi mi vergogno di condividere la strada con chi sottostà a queste logiche. Perché, vedete, spesso a bordo strada ci sono i miei figli, ai quali cerco di spiegare tutti i giorni, con fatica, che fare sport è per divertirsi ed avere il giusto equilibrio psicofisico. Ed invece devono assistere a scene disgustose, come quella a cui ho assistito non molto tempo fa: alle premiazioni per una 10K viene assegnato un trofeo ad una “campionessa”, ex maratoneta, che aveva vinto una gara locale con ovvia facilità. Questa, appena scesa dal palco delle premiazioni, maneggiando il trofeo come fosse il sacco dell’umido, in maniera plateale lo disprezza con frasi del tipo “che cazzo me ne faccio”. Il tutto davanti ai bambini che erano invece orgogliosi delle loro medaglie, vinte nella gara a loro dedicata. Bene, sappi che quel trofeo simboleggia un traguardo per un bambino: per lui anche una semplice medaglia rappresenta un riconoscimento prezioso, e tu che hai in mano una coppa grandissima diventi un esempio ed un riferimento. Disprezzando il trofeo, disprezzi tutto ciò che da valore al nostro sport, disprezzi i valori in cui credono i più piccoli, e dimostri che nonostante i tuoi trascorsi tu allo sport non dai un valore, ma un prezzo. Quantificabile in poche decine di euro.


E questo qualifica anche te. Ma c’è un'altra categoria di personaggi: gli imprenditori del podismo locale. Quelli che si pongono l’obiettivo di vincere a tutti i costi il circuito di riferimento e per farlo sono pronti “ingaggiare” gli elementi migliori del circuito. Questi Abramovich del podismo “de noartri” mi fanno tenerezza, ed ancor più mi fa tenerezza chi cade in un meccanismo del genere. Perché anche in questo caso, si travisa completamente il concetto di sport “amatoriale” che, cito il dizionario della lingua italiana, significa: “che riguarda gli amatori, i dilettanti, gli appassionati di una determinata attività, che non la praticano a fine di lucro”. Anche in questo caso non parliamo di ingaggi milionari, parliamo delle poche decine di euro date in caso di vittoria o di gare pagate dalla società in cambio del tesseramento. Perché questo succede, e succede più spesso di quanto si creda. Io credo che se c’è la disponibilità economica, una società debba promuovere la partecipazione agli eventi, la diffusione della passione sportiva, la creazione di un movimento giovanile, dove la partecipazione alle gare e ad un circuito dovrebbe essere solo di “stimolo” (perché comunque un minimo di agonismo è il sale della competizione). Invece subentrano, seppur moderate e circoscritte, logiche di mercato che in un ambiente come quello del podismo amatoriale c’entrano come la Fanta all’Oktoberfest. Del resto, pensandoci, bene, se per fare partecipare le persone alle gare bisogna avere “ricchi premi di categoria” rimpiango il podismo degli anni ’80… ma questo è un altro discorso che mi riprometto di affrontare prossimamente. La mia è una critica aperta, è vero, e se qualcuno si sente offeso significa che probabilmente ho colto nel segno. E ne ho voluto parlare per evitare che rimanga, come spesso ho sentito dire, un argomento “tabù” per timore che chissà chi si risenta. Ma più che una critica è un monito, un avvertimento, affinché il movimento amatoriale non diventi, come purtroppo è successo in altri sport, una specie di “professionismo nascosto”, dominato da una competitività tignosa, dove lo sport amatoriale perde la sua missione educativa e promozionale per fare spazio a logiche dettate da denaro, invidie, gelosie, frustrazioni e cattiverie assolutamente ed indiscutibilmente fuori luogo. Vi lascio con una frase di Emil Zatopek, leggenda cecoslovacca della maratona, che ci aiuti a riflettere sul perché ci mettiamo le scarpette ed iniziamo a correre: “Un atleta non può correre coi soldi in tasca. Deve correre con la speranza nel cuore e i sogni nella testa.”

A presto!