Mattia Bianucci | Preparatore atletico e Personal Trainer | Alessandria: Quando la corsa non ha valore, ma ha un prezzo

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sabato 20 maggio 2017

Quando la corsa non ha valore, ma ha un prezzo

Ospito molto volentieri sul mio blog il pensiero, che condivido ampiamente, del collega Gianni Roveda (Runners Tordino) da www.corrilabruzzo.it

ZIBALDONE - Pensieri In Libertà. Buona lettura e meditate gente, meditate... :)



Yuki Kawauchi
Ho di recente letto la storia di Yuki Kawauchi, maratoneta giapponese, primatista nazionale e fra i primi 10 al mondo con il PB di 2h09’54”. Una storia fatta di dedizione e sacrificio, di allenamenti “rubati” alla famiglia e al suo lavoro di impiegato pubblico (in Giappone, dove l’impiegato pubblico lavora sul serio). Eppure lui stesso dichiara: "Preferisco correre liberamente. Diversamente dai professionisti, non corro per vincere premi in denaro o per trovare degli sponsor. Corro per soddisfare il mio interesse personale e per sfidare me stesso. Non voglio perdere la mia libertà." Ecco, inviterei Kawauchi a conoscere la realtà del podismo amatoriale nostrano, più che altro per stimolarlo a riflettere se lui sia un povero illuso o noi dei poveretti e basta. Perché invece non è un segreto che il podismo abruzzese-marchigiano sia fatto di autentici fenomeni, così tanto fenomeni da potere auspicare sempre ad un premio in denaro o ad un riconoscimento economico. Amatori esaltati, ex professionisti o presunti tali, personaggi che si sono costruiti a livello locale una specie di reputazione di “campioni” che corrono le gare amatoriali solo se ci sono premi in denaro o che si fanno “ingaggiare” dalle società, le quali sono disposte, a dare un valore economico alla loro partecipazione. Banalmente: “Se ti segni (traduzione: “iscrivi”) con noi ti paghiamo le gare”.

Mi è capitato di ricevere telefonate prima della gara che abbiamo organizzato:

“Buongiorno, sono (xxxxxxxx). Sono previsti premi in denaro?”

“No, mi spiace”

“Ah, allora arrivederci”

E parliamo di personaggi che alle gare poi vengono additati come campioni o esempi di agonismo e sportività quasi con timore reverenziale, sottovoce, mentre quelli più audaci azzardano un saluto o una foto rubata.


Chiarisco subito come la penso:

Caro campione: se fossi stato un fenomeno ti avrei visto a Rio l’anno scorso. O per lo meno staresti correndo qualche gara internazionale. Se invece corri le gare del “Criterium Piceni e Pretuzi” o “Corrilabruzzo” sei uno come un altro, uno che si perde nel marasma sorridente, festante e colorato delle gare domenicali dove tu, professionista improvvisato, sembri quasi fuori luogo. Ma io non me la prendo con te. Me la prendo con chi ti asseconda, con l’organizzatore che pur di avere il “nome” ridondante alla gara solo per la soddisfazione di farlo scandire dallo speaker locale è disposto a riconoscerti il “premio in denaro”. Ingaggi ovviamente “milionari” (si fa per dire), nell’ordine di poche decine di euro! Ecco, io di fronte a questo atteggiamento, da una parte mi indigno, perché vedo lo sport amatoriale in una interpretazione lontana anni luce da quello che dovrebbe essere, e dall’altra quasi mi vergogno di condividere la strada con chi sottostà a queste logiche. Perché, vedete, spesso a bordo strada ci sono i miei figli, ai quali cerco di spiegare tutti i giorni, con fatica, che fare sport è per divertirsi ed avere il giusto equilibrio psicofisico. Ed invece devono assistere a scene disgustose, come quella a cui ho assistito non molto tempo fa: alle premiazioni per una 10K viene assegnato un trofeo ad una “campionessa”, ex maratoneta, che aveva vinto una gara locale con ovvia facilità. Questa, appena scesa dal palco delle premiazioni, maneggiando il trofeo come fosse il sacco dell’umido, in maniera plateale lo disprezza con frasi del tipo “che cazzo me ne faccio”. Il tutto davanti ai bambini che erano invece orgogliosi delle loro medaglie, vinte nella gara a loro dedicata. Bene, sappi che quel trofeo simboleggia un traguardo per un bambino: per lui anche una semplice medaglia rappresenta un riconoscimento prezioso, e tu che hai in mano una coppa grandissima diventi un esempio ed un riferimento. Disprezzando il trofeo, disprezzi tutto ciò che da valore al nostro sport, disprezzi i valori in cui credono i più piccoli, e dimostri che nonostante i tuoi trascorsi tu allo sport non dai un valore, ma un prezzo. Quantificabile in poche decine di euro.


E questo qualifica anche te. Ma c’è un'altra categoria di personaggi: gli imprenditori del podismo locale. Quelli che si pongono l’obiettivo di vincere a tutti i costi il circuito di riferimento e per farlo sono pronti “ingaggiare” gli elementi migliori del circuito. Questi Abramovich del podismo “de noartri” mi fanno tenerezza, ed ancor più mi fa tenerezza chi cade in un meccanismo del genere. Perché anche in questo caso, si travisa completamente il concetto di sport “amatoriale” che, cito il dizionario della lingua italiana, significa: “che riguarda gli amatori, i dilettanti, gli appassionati di una determinata attività, che non la praticano a fine di lucro”. Anche in questo caso non parliamo di ingaggi milionari, parliamo delle poche decine di euro date in caso di vittoria o di gare pagate dalla società in cambio del tesseramento. Perché questo succede, e succede più spesso di quanto si creda. Io credo che se c’è la disponibilità economica, una società debba promuovere la partecipazione agli eventi, la diffusione della passione sportiva, la creazione di un movimento giovanile, dove la partecipazione alle gare e ad un circuito dovrebbe essere solo di “stimolo” (perché comunque un minimo di agonismo è il sale della competizione). Invece subentrano, seppur moderate e circoscritte, logiche di mercato che in un ambiente come quello del podismo amatoriale c’entrano come la Fanta all’Oktoberfest. Del resto, pensandoci, bene, se per fare partecipare le persone alle gare bisogna avere “ricchi premi di categoria” rimpiango il podismo degli anni ’80… ma questo è un altro discorso che mi riprometto di affrontare prossimamente. La mia è una critica aperta, è vero, e se qualcuno si sente offeso significa che probabilmente ho colto nel segno. E ne ho voluto parlare per evitare che rimanga, come spesso ho sentito dire, un argomento “tabù” per timore che chissà chi si risenta. Ma più che una critica è un monito, un avvertimento, affinché il movimento amatoriale non diventi, come purtroppo è successo in altri sport, una specie di “professionismo nascosto”, dominato da una competitività tignosa, dove lo sport amatoriale perde la sua missione educativa e promozionale per fare spazio a logiche dettate da denaro, invidie, gelosie, frustrazioni e cattiverie assolutamente ed indiscutibilmente fuori luogo. Vi lascio con una frase di Emil Zatopek, leggenda cecoslovacca della maratona, che ci aiuti a riflettere sul perché ci mettiamo le scarpette ed iniziamo a correre: “Un atleta non può correre coi soldi in tasca. Deve correre con la speranza nel cuore e i sogni nella testa.”

A presto!

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